Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, ogni anno nel mondo 7 milioni di persone muoiono a causa dell’inquinamento atmosferico. Il particolato atmosferico può costituire una grande sfida per l’umanità ed è presente in natura sotto forma di aggregati inferiori a 10 micron (PM10 e 2.5) fino a quelli ultrafini inferiori a 100 nm. Il rapido sviluppo globale dell’industrializzazione e dell’urbanizzazione nell’espansione delle megalopoli ha generato fenomeni di intense concentrazioni di particolato antropico che stanno avendo drammatiche conseguenze sulla salute dell’Uomo sia per quanto riguarda l’indebolimento della salute che per l’insorgenza di gravi patologie, tanto che numerosi studi internazionali hanno provato ad indagare nell’ultimo anno i motivi che sottendono il peggiore impatto del COVID (in termini di contagi e mortalità) nelle aree più inquinate. Il costo economico e sociale dell’inquinamento atmosferico si può quantificare in oltre 80mila morti premature nella sola Italia, localizzate prevalentemente nella Pianura Padana ed oltre 250mila morti in Europa, stando ai dati dell’annuale Rapporto sulla Qualità dell’Aria pubblicato dall’Agenzia Europea per l’Ambiente (EEA). Sono noti, inoltre, gli effetti dell’inquinamento atmosferico nella riesacerbazione dell’Asma (anche nei bambini) e recrudescenze di BPCO (negli anziani), così come le conseguenze immediate dei picchi giornalieri di particolato atmosferico che si traducono in aumento d’infarti del miocardio ed ictus cerebrali. E’ stata proposta anche un’associazione tra esposizioni al PM (sia nel lungo termine che persino nel breve periodo) ed incidenza o sintomatologia grave dei casi di COVID-19. Le evidenze disponibili e le linee guida sulla Qualità dell’Aria emanate nel ben lontano 2005 dall’OMS (ancora in corso di recepimento da parte dell’UE) attestano che gli attuali limiti di legge per il PM non costituiscono soglie protettive per la salute delle persone. La soluzione non può essere che quella di puntare tutto e subito sul massimo sviluppo delle fonti rinnovabili (solare, eolico, idro-elettrico, idrogeno) per rifornirci senza rischi di energia, per i riscaldamenti domestici, per la mobilità, per le produzioni industriali. Di fatti, un nuovo orizzonte di speranza si è aperto nel 2020 con il Green Deal dell’Unione Europea che mira a raggiungere la neutralità climatica entro il 2050 e ridurre le emissioni entro il 2030 ad almeno il 50% dei livelli degli anni ’90. L’Unione Europea riconosce il cambiamento climatico e l’inquinamento ambientale come una minaccia esistenziale e si impegna a diventare un’economia moderna, sostenibile e competitiva. Il Green Deal europeo mira anche a trasformare le sfide climatiche e ambientali in opportunità per affrontare le questioni di uguaglianza e diversità “rendendo la transizione giusta e inclusiva per tutti”, dove nessuna persona e nessuna regione siano lasciate indietro. Questo impegno politico verso l’obiettivo delle “emissioni zero” coinvolgerà tutti i settori economici col supporto di un ampio piano di investimenti (mobilitando fino a 1.000 miliardi di euro nei prossimi 10 anni), per  passare  ad  una  economia  circolare  pulita, ripristinare  la biodiversità e  ridurre l’inquinamento. Al contempo, dopo che la pandemia ha fatto emergere con forza in Italia “il caso Padano”, è opportuno che – come avviene in molti altri settori – vengano monitorati da organismi indipendenti tutti i progressi o all’opposto i ritardi in questo cammino di “transizione ecologica”, sia con finalità di aumentare le  conoscenze e  la sensibilità  dell’opinione  pubblica, sia  per  agire  da stimolo verso il  raggiungimento  degli obiettivi prefissati a livello europeo. Di qui l’opportunità di dare vita al Rapporto annuale “RELOAD” (lettura sanitaria del dato ambientale), sotto l’egida di organismi di solida credibilità scientifica come SIMA e rilevanza istituzionale come il CINI.