La stima della Società Italiana Medicina Ambientale

Covid, 46 miliardi di mascherine utilizzate in Italia: "Impatto abnorme su ambiente e società"

Legambiente: "Va evitato il fenomeno della dispersione accidentale delle mascherine che possono così impattare sull'ecosistema"

Covid, 46 miliardi di mascherine utilizzate in Italia: "Impatto abnorme su ambiente e società"
Pixabay
Mascherina chirurgica dispersa nell'ambiente

A partire da ieri le useremo meno, ma ancora dobbiamo tenerle a portata di mano.  Le mascherine, oltre che in ospedali e in Rsa, restano obbligatorie, almeno fino al 15 giugno, sui mezzi di trasporto locali e a lunga percorrenza, nei locali al chiuso, come cinema e teatri e palazzetti sportivi, a scuola fino a fine anno scolastico.

Una notizia che se dal punto di vista della salute ci rassicura, sotto l’aspetto della tutela ambientale ci preoccupa, perché è ormai chiaro che i Dpi (Dispositivi di protezione individuale), se eliminati male, mettono seriamente a rischio l’ambiente in cui viviamo.

L’allarme Sima: "Le mascherine hanno un impatto abnorme su ambiente, economia e società”

Secondo una prima stima conservativa elaborata da Sima (Società Italiana Medicina Ambientale), sarebbero almeno 46 miliardi le mascherine utilizzate in Italia da inizio pandemia ad oggi, e ben 129 miliardi a livello globale quelle consumate ogni mese, ovvero 3 milioni al minuto. 

“Per arrivare a una stima dei Dpi utilizzati in Italia nei due anni di pandemia - spiega il presidente Sima, Alessandro Miani- abbiamo effettuato delle simulazioni su tre macro-categorie di utilizzatori: lavoratori, comparto scuola e utenti generici. In primis assumendo che i 22 milioni di lavoratori italiani (dato 2020) abbiano utilizzato almeno una mascherina (come da obbligo di legge) per 700 giorni; a questi si aggiungono gli 8 milioni di studenti che ne hanno usato almeno una per circa 300 giorni di scuola nei due anni (per tenere conto delle chiusure per Dad diversificate a livello locale); infine , abbiamo considerato che due terzi degli italiani (40 milioni di persone) abbiano utilizzato almeno una mascherina per uscire di casa in 700 giorni nei due anni di pandemia. I totali così ricavati ammontano a 2,4 miliardi di mascherine per il settore scolastico, 15,4 miliardi per quello lavorativo e 28 miliardi per l'uso quotidiano da parte dei cittadini attivi, per un totale di circa 46 miliardi di mascherine”

La Società italiana di medicina ambientale lancia anche un allarme: "Queste cifre racchiudono un impatto abnorme su ambiente, economia e società. Preoccupa inoltre la presenza di frazioni sub-micrometriche, potenzialmente capaci di attraversare le barriere biologiche”, afferma ancora Miani, che aggiunge: "Come società scientifica siamo favorevoli al proseguimento dell'utilizzo delle mascherine negli ambienti indoor, ma al contempo abbiamo il dovere di evidenziare che ponendo adeguata attenzione alla qualità dell'aria indoor con semplici (oltre che economici) dispositivi di monitoraggio della CO2, ed eventuale ricorso a sistemi di purificazione dell'aria o ventilazione meccanica controllata (Vmc), è possibile recuperare una fruibilità in piena sicurezza di tutti gli spazi al chiuso o ambienti confinati anche senza usare questi dispositivi di protezione individuale, di cui speriamo di poter fare presto tutti a meno".

Mascherina chirurgica a mare Gettyimages
Mascherina chirurgica a mare

I dati dell’Oms sui dispositivi eliminati ogni giorno

Per quanto riguarda l'impatto meramente ambientale, l'Oms (Organizzazione Mondiale della Sanità) ha stimato in 3,4 miliardi le mascherine che finiscono ogni giorno nella spazzatura (dato globale), assieme a 140 milioni di kit di test, che hanno il potenziale di generare 2.600 tonnellate di rifiuti non infettivi (principalmente plastica) e 731.000 litri di rifiuti chimici.

Il ciclo delle mascherine a contatto con l'ambiente

Un recente studio apparso su Environmental Advances ha rivelato come buona parte delle mascherine finisca in acqua (quasi 5.500 tonnellate metriche di plastica ogni anno con una stima ottimistica al ribasso) evidenziando inoltre come una singola mascherina potrebbe rilasciare fino a 173 mila microfibre di plastica al giorno negli oceani, con possibili danni da ostruzione in seguito a ingestione ed effetti tossicologici dovuti alla veicolazione di contaminanti chimici e biologici.

Per districarci meglio tra questi dati, abbiamo chiesto aiuto ad Andrea Minutolo, responsabile scientifico di Legambiente.

“Si parla di un numero impressionante di mascherine utilizzate e di conseguenza eliminate, va detto però che in termini di volume di rifiuti sono numeri poco significativi rispetto alla categoria dei rifiuti in generale” -ci spiega Minutolo. “Una mascherina pesa pochi grammi quindi, rispetto ai circa 30 milioni di tonnellate di rifiuti urbani prodotti in Italia ogni anno, le mascherine utilizzate incidono per il 2%. Ovviamente parliamo di rifiuti conferiti correttamente che finiscono nella filiera. Le mascherine vanno all’ incenerimento”.

“Se tutto fosse corretto -continua il responsabile scientifico di Legambiente- non ci sarebbero problemi, ma purtroppo una buona parte dei Dpi viene gestita male e si arriva a milioni di pezzi scartati che impattano sull’ambiente. Questo è il problema”. 

Il fenomeno della dispersione accidentale

“Il primo errore -sottolinea Minutolo- lo commettiamo noi utilizzatori di mascherine. Soprattutto adesso che dobbiamo indossarle in ambienti indoor ma all’aperto le togliamo, mettendole in tasca o gettandole in maniera non corretta nei cestini per strada, contribuiamo al fenomeno della dispersione accidentale. Proprio perché c’è un ricambio frequente, la maggior parte possono finire per strada, essere rimesse in circolo e impattare sull’ambiente”.

Quando gli chiediamo in che modo le fibre plastiche contenute dalle mascherine danneggiano l’ambiente, l’esperto di Legambiente indica due strade: “Ci vuole tempo, ma le mascherine abbandonate per strada o nei parchi, possono frammentarsi in particelle più piccole e diventare microplastiche che si diffondono negli ecosistemi. Principalmente vengono scambiate per cibo da uccelli e pesci nel mare che le ingeriscono. Quindi diventa una questione di civiltà, oltre che di danno ambientale”.

Possono arrivare alla catena alimentare?

“In linea teorica sì, possono finire nella catena alimentare, più che attraverso gli animali, attraverso le sostanze chimiche presenti sulle mascherine disperse accidentalmente: quelle proprie che i Dpi contengono per assicurare l’impermeabilità e i tanti inquinanti atmosferici che assorbono una volta abbandonati per terra in strada”.

“A questo punto -conclude Andrea Minutolo-  dobbiamo ricordare che le mascherine vanno conferite nella raccolta ‘indifferenziata’, assicuriamoci di gettarle bene nel cassonetto. Un’attenzione speciale poi dobbiamo averla quando ce le togliamo in casa: ricordiamoci di sigillare bene il cestino. Infine non le lasciamo in tasca perché poi prima o poi le perdiamo”.